lunedì 26 ottobre 2015

IL RICONOSCIMENTO DI PENELOPE

Odissea, libro XXIII

E la morte de’ Proci, e il nostro io vegga
Liberatore, un uomo ei siasi, o un Nume.
Detto così, dalla superna stanza
Scese con mente in due pensier divisa:   
                       110
Se di lontano a interrogar l’amato
Consorte avesse, o ad appressarlo in vece,
E nelle man baciarlo, e nella testa.


[…]

E a rincontro Penelope: Sospesa,                                   135
Figlio, di stupor sono, ed un sol detto
Formar non valgo, una dimanda sola,
E nè, quant’io vorrei, mirarlo in faccia.
Ma s’egli è Ulisse, e la sua casa il tiene,
Nulla più resta, che il mio stato inforsi.
                      140
Però che segni v’han dal nuzïale
Ricetto nostro impenetrabil tratti,
Ch’esser noti sappiamo a noi due solo.


(Omero, Odissea, libro XXIII)
Traduzione di P. Maspero


Ritratto immaginario di Omero, copia romana del II secolo d.C. di un'opera greca del II secolo a.C.
Conservato al Museo del Louvre di Parigi.

Nei versi precedenti vi è stato un colloquio tra la Nutrice e Penelope, nel quale è avvisata del fatto che un uomo ho superato la prova delle scuri, pertanto Odisseo è tornato a casa. Qui si evince l'incertezza di Penelope nel riconoscere l'amato marito. Nei passi immediatamente successivi, invece, la saggia Penelope vuole che il marito si esprima a proposito del letto che egli aveva costruito per il loro matrimonio; il letto, però, durante la lunga assenza di Odisseo è stato spostato dal talamo e questo fatto allarma l'eroe, dal bisogno di avere chiarimenti a riguardo, nasce la particolareggiata descrizione del manufatto.
Il libro completo, nella versione ebook, edizione 2010, la si può trovare questo sito.

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